domenica 25 aprile 2010

Il venditore della Global Marketing (Una storia vera)

Prima di cominciare la descrizione logorroica (specialità nella quale posso competere con i migliori) di un'esperienza realmente vissuta, vorrei precisare che il termine "vu-cumprà" mi stà perecchio sui marroni (ebbene sì, oggi mi sento volgare. Chi è puro di cuore farà meglio a non leggere quanto segue, grazie) perchè lo trovo parecchio razzista. Anche il termine "venditori abusivi extracomunitari" non mi piace. Primo perchè di venditori abusivi ce ne sono anche tra italiani, spesso pure con negozi in carne ed ossa (sì...insomma...in mattoni e cemento. Maledetta pignoleria!), e poi perchè che caBIIIPzo significa "extracomunitari"? Tecnicamente anche i sanmarinesi, gli americani ed i giapponesi sono non facenti parte dell'Unione Europea e quindi classificabili come extracomunitari ma fin'ora non ho mai sentito di sanmarinesi-americani-giapponesi che si mettono a vendere chincaglieria per strada, anche se con la crisi in corso non è detto che non succederà.
Ed allora?
Allora per questo post ho deciso di creare un nuovo acronimo sperando che possa essere il più politicamente corretto possibile in modo che nessuno si offenda. E se qualcuno si offende lo stesso, pace: io meglio di così non so fare. Direi allora che una descrizione che possa mettermi al riparo da querele sia "Venditori Stradali Non Autorizzati" e dato che non mi và di riscrivere la stessa tiritera tutte le volte che ce ne sarà bisogno, scriverò invece V.S.N.A anzi VSNA che dover digitare tutte le volte anche i punti è una rottura di coBIIIIPni.

Ogni volta che vedo un VSNA, anzi, ogni tanto quando vedo un VSNA mi viene in mente che in passato anche io per una decina di giorni (od una settimana, vatti a ricordare adesso) ho fatto un lavoro per certi versi simile e per altri differenti.
Era il 1994, ero appena tornato a Londra da Tokyo -il primo mese della mia vita in Giappone- ed ero senza soldi, con un affitto da pagare ed una ragazza giapponese (non la mia moglie attuale), che non voleva vedermi ciondolare tutto il giorno. Come cameriere esperto avrei anche potuto trovare un lavoro subito ma alla tenera età di 25 anni mi ero messo in testa che "hei, amico, siamo a Londra, mica a Riccione: quà si può trovare qualsiasi tipo di lavoro e guadagnarci bene altro che servire a tavola, no?". Povero allocco!
Nella ricerca di un lavoro altamente remunerativo (ancora oggi mi vien da ridere) metto gli occhi su un annuncio pubblicato su un settimanale molto popolare all'epoca tra i giovani ricercatori di lavoro nella capitale inglese, tale TNT.
Siffatto annuncio dichiarava che cercavano sales managers (direttori delle vendite) per una ditta in espansione, lauti compensi e nessuna esperienza richiesta in quanto loro stessi avrebbero insegnato tutto. E sì che anche allora conoscevo certe tecniche illusorie ed avrei dovuto farmi venire dei dubbi. In effetti qualche dubbio mi venne. "Non sarà mica "-mi chiesi -"una di quelle ditte come la Amway che promettono mari & monti (e colline, e fiumi, e laghi) che poi alla fine devo convincere una barca di futuri ex-amici ad unirsi al gruppo che così poi aumentano le commissioni, le provvigioni e compagnia bella che sembra che alla fine starò tutto il giorno in casa a contare i soldi che pioveranno copiosi, così almeno dicono sempre ma alla prova dei fatti non ne ho mai conosciuto uno che veramente sia diventato ricco con questo sistema che loro stessi chiamano Mercato Multi Livello, eh?".
Insomma, tentar non nuoce, il tempo non mancava, altro da fare non avevo...finisce che telefono. Mi spiegano che han bisogno di direttori di vendita, direttori del personale, capireparto e poi mi chiedono a quale sono interessato. Gli faccio notare che io non so far nulla di tutto ciò e loro mi dicono di star tranquillo che ci pensano loro ad insegnarmi tutto dalla A alla Z. Il pomeriggio stesso mi presento all'indirizzo ricevuto telefonicamente.

A prima vista era la classica ditta con ingresso, due segretarie, salone luminoso, deposito merci ed ufficio del capo. Insieme a me ce ne erano altri ad aspettare. Ci fanno riempire i moduli e poi il direttore ci fà il colloquio tre alla volta. Quando sà che sono italiano mi dice che hanno un ufficio a Milano. Quando uno che era seduto con noi gli dice che ha 60 anni, lui risponde che hanno un dipendente della stessa età. Poi a me ed all'altro (non il sessantenne ma un altro ancora) dice di ri-presentarci l'indomani mattina per essere aggregati ad un capo-cellula che ci avrebbe spiegato il lavoro per filo e per segno, oltre a farci vedere in pratica come si sarebbe svolto. Si raccomandò pure di fargli parecchie domande e quindi ci congedò. Il sessantenne invece rimase in ufficio a parlare con il capo, ma non so cosa si siano detti. Non lo rividi più.

Fù così che il giorno dopo cominciai il training alla Global Marketing che rileggendo quanto scritto fin'ora mi sono accorto che ancora non avevo specificato il nome della ditta. Chissà se esiste ancora. Su google non l'ho trovata. Che abbia cambiato nome? Era mattina presto, il mega-direttore mi presentò colui che sarebbe dovuto diventare il mio capo-cellula (bella parola, fà tanto di organizzazione segreta) ed insieme abbiamo cominciato. L'abbigliamento era quello classico da venditore: giacca, cravatta e formalità. La differenza è che ci si porta dietro un paio (ma anche di più, a seconda della resistenza delle proprie spalle e quindi solo due nel mio caso) di borsoni grossi grossi pieni di prodotti da vendere.
All'inizio chiesi se per caso saremmo andati a venderli suonando a tutti i campanelli -ed in quel caso li avrei salutati seduta stante- ma lui disse che li si vendeva ai "business" ed io pensavo che questo avrebbe significato il proporli a ditte le quali a loro volta ce li avrebbero comprati all'ingrosso per venderli in giro. Invece scappa fuori che li avremmo venduti noi ai padroni e dipendenti di tutti i tipi di negozi che incontravamo.
La logica era che la gente che passeggia spesso non ha soldi, chi lavora dovrebbe averli ed in ogni caso non sarebbero scappati. Con il capo-cellula quel giorno ho scarpinato in una zona di Londra che non conoscevo ed il cui nome ancora oggi non ricordo. Lui senza problemi e senza vergogna entrava tranquillo in tutti i negozi ed in tutte le attività che incontrava sul suo cammino. Pubs, supermercati, officine, fruttivendoli, macellai, agenzie viaggio, pompe funebri (sì, anche quelle), non ne saltava nessuno. Ed io dietro a guardare, chiedendomi chi glielo faceva fare. C'erano anche persone che ci cacciavano via in malo modo, con arroganza, insulti ed anche con minaccie, ma lui tranquillo ed imperterrito continuava a camminare, cercare e trovare ulteriori negozi.

Durante la pausa-pranzo in un ristorantino di poche pretese, cominciò a spiegarmi come funzionava il tutto e perchè lui, che in passato era muratore, aveva rifiutato un lavoro a tempo indeterminato e molto ben retribuito per fare il venditore stradale.
I prodotti, diciamoci la verità, erano cazzate inutili, di quelle che le trovi dovunque se proprio ti viene il bisogno di averli, di sicuro non vendevano rarità. Nel caso del primo giorno si trattava di una radio-torcia di plastica, bicolore, a batteria che in fondo in fondo era un giocattolo per bambini e di un'imitazione spudorata di un coltellino svizzero.
Il prezzo della prima "ciofeca" era di 5 sterline (guasi 15mila lire dell'epoca, cioè del 1994), quello della seconda pataccata era di due sterline.
Come ci si guadagnava la pagnotta in quel modo? Ogni prodotto della Golbal Marketing aveva vari prezzi: il prezzo base, il prezzo del distributore, quello dell'ufficio, quello del venditore ed infine quello del cliente.Ora non so quanto la Radio-torcia fosse costata in partenza ma so che i VSNA la ricevevano a 4 sterline l'una e poi la vendevano ad un prezzo deciso da loro stessi, di solito 5 sterline. Questa differenza di una sterlina era appunto il guadagno dei VSNA. Naturalmente l'ufficio che ci vendeva le radio-torce a 4 sterline, le aveva pagate solo 3 e così via.
I venditori non dovevano sganciare al momento del ritiro delle merci ma alla fine, dopo averle vendute. Ergo, se si prendevano 50 radio-sveglie (che occupavano un certo spazio) e poi se ne restituivano 40, significava che se ne erano vendute 10 e quindi si doveva pagare 40 pounds(1) a loro. Se si era stati fessi e non si aveva venduto la merce a 5 quids(2) l'una, si rimaneva a tasche vuote. In caso contrario, invece si tornava a casa con un deca in più.
Secondo il calcolo delle probabilità, per potere vendere circa 40 prodotti, occorreva proporli ad almeno 300 persone, quindi 260 nò per ottenere 40 sì. Come diceva uno slogan dell'azienda "Più nò si ricevono, più si avvicina il sì!". Ecco perché era importante scarpinare, scarpinare e poi ancora scarpinare.Il sistema che reggeva il tutto, non si basava naturalmente sulle commissioni (altrimenti nessuno avrebbe abboccato. Chi è che si fa venire le vesciche ai piedi per 20, 30 sterline quando può guadagnare altrettanto se non di più come cameriere, e solo con le mance?) ma sulle possibilità che si sarebbero aperte in futuro.

All'inizio tuttissimi-tutti cominciavano dalla gavetta, consumando le suole per le strade di Londra (e garantisco che sono un numero spropositato) vendendo, imparando, migliorando, guadagnando e vendendo. Se dopo un po' si arriva a guadagnare un certo numero di sterline oppure si dimostrava che si stava migliorando aumentando in maniera progressiva l'incasso giornaliero, si passava di grado e si diventava istruttori, in altre parole si continuava a camminare per le strade come prima ma con la differenza che lo si faceva insieme ad un apprendista sicuramente già istruito da altri.
Poi si passava ad un livello successivo e si diventava capo-cellula dovendo oltre alle solite camminate per vendere, organizzare un gruppo, motivarlo, aiutarlo a crescere, sostenendone i componenti nei momenti di sconforto, suggerendo nuove strategie, dando consigli e tenendo una contabilità degli incassi quotidiani, settimanali e mensili.
Fino a quel momento ci si sarebbe sempre mantenuti con le commissioni, niente stipendi da parte della ditta. Da quel momento in poi la ditta avrebbe autorizzato il capo-cellula ad aprire il proprio ufficio, ed era a quel punto che si sarebbe cominciato a guadagnare in maniera consistente. (Tra parentesi -prima di continuare- devo aggiungere che il permesso di aprire il proprio ufficio arrivava SOLO se si dimostrava di possedere 5mila sterline. Secondo loro, era il minimo necessario per finanziare un nuovo ufficio. No, dico, non so se mi spiego: nemmeno un aiuto finanziario per mettersi in proprio si riceveva! E sì che ogni nuovo ufficio aperto era un incremento del guadagno....).
Naturalmente il capo-ufficio che vedeva un suo capocellula mettersi in proprio portandosi via tutto il suo gruppo non piangeva, sia perchè tanto li avrebbe sostituiti tutti assumendo nuovo staff, sia perchè avrebbe ricevuto dalla casa madre il 4% di tutto il fatturato ottenuto da quel giorno in poi da tutti gli ex dipendenti ora in proprio.
Se la matematica non è un opinione, possiamo capire che:-se ogni venditore guadagnava 10 sterline al giorno-se ogni capo-ufficio ne guadagnava altrettante da ogni venditore-se ogni capo-ufficio aveva nella sua scuderia 10 venditorine consegue che un capo-ufficio ogni giorno si metteva in tasca 100 sterline, senza dover farsi male alle gambe per le streets of London. Ma dato che la media di sterline guadagnate da ogni venditore oscillava tra le 25 e le 35 sterline giornaliere -c'era chi ne guadagnava di più e chi di meno- e dato che in quell'ufficio eravamo una sessantina..... Ecco quindi perchè tutti (incluso il mio capo-cellula che, come ho già scritto, aveva rinunciato ad un lavoro molto ben remunerato) erano felici di fare i VSNA o forse in questo caso doveri scrivere “gli ambulanti”, dato che il tutto era legale!

Il primo giorno ero arrivato all'ora stabilita dalla segretaria quando telefonai per chiedere informazioni sul lavoro e tutta la banda era già uscita per vendere, vendere e poi ancora vendere.
Il secondo giorno invece arrivai alla stessa ora di tutti. L'atmosfera era paradisiaca: tutti amici, tutti a raccontarsi aneddoti, scherzi, esperienze di vendita, tutti a bere il caffè della macchinetta ed a chiacchierare insieme, senza razzismi, sessismi o pregiudizi. Bianchi, neri, asiatici, scheletrici, sovrappeso, uomini, donne, giovani, anziani...sembrava di essere un'immensa famiglia felice.
E poi c’erano le lavagne sparse nello stanzone attorno alle quali si formavano piccoli gruppi spontanei che ascoltavano le istruzioni di un capo-cellula. In quelle riunioni si veniva istruiti sulle 5 e sulle 7 regole d'oro. Adesso non le ricordo tutte, ma penso che siano le stesse che si possono leggere in tutti i manuali che promettono miracoli per chi vuole imparare le tecniche di vendita.

Tra le regole che ricordo, c'erano:

-Mantenere il contatto visivo diretto con i clienti,ossia parlargli guardandoli negli occhi.-Sorridere sempre (ma sempre-sempre, eh?)
-Invece di tenere in mano il prodotto durante la presentazione del medesimo, metterlo nelle mani dei potenziali clienti affinchè in questo modo li si sarebbe convinti meglio, dato che potendolo toccare, accarezzare, soppesare, annusare, frugare e provare, avrebbero capito che era roba buona (mi ri-vien da ridere!)
-Dopo aver venduto il primo prodotto (od almeno averci provato), proporre il secondo, che deve essere quello dei due che costa meno
-"Work your area" (che vuol dire "lavora la tua area") ossia non lasciarsi sfuggire nemmeno un negozio. Anche se sembra lontano da dove si è, anche se sembra sull'orlo del fallimento. Ciò perchè non si può mai indovinare prima quale siano i negozi dove ci sono dei compratori, e magari proprio in quel negozio che abbiamo scartato perchè ci sembrava povero o troppo lontano avremmo potuto vendere un prodotto.
-Mantenere l'entusiasmo alto, anche nei momenti di sconforto, ossia dopo ore ed ore di scarpinamento senza aver venduto un singolo prodotto ed avere in compenso ricevuto l'ennesima cacciata in modo rude.

Tra le altre cose che si imparavano attorno alle lavagne, c'erano le tecniche per gestire i rifiuti. Se per esempio ci si sentiva dire che quell'oggetto non serviva al potenziale compratore, si doveva proporglielo come regalo da fare a qualcuno, magari ad un bambino.
Se il potenziale acquirente diceva che già un altro venditore era venuto una mezz'ora prima (non c'erano regole di assegnazione delle zone: erano i venditori stessi a decidere di volta in volta dove andare ed era normale che alcuni si ritrovavano nelle stesse aree), gli si doveva chiedere se avevano comprato qualcosa ed in caso contrario suggerirgli che in quel momento gli veniva offerta una seconda occasione.
Solamente se un negoziante indicava la porta con un "Out!" ("Fuori!") allora non si doveva insistere e si doveva uscire per andare al negozio successivo.
Dato che le ore utili erano solo otto (poi i negozi chiudevano) e che tra un negozio e l'altro spesso c'erano dei minuti da camminare, per potere arrivare a 300 proposte (in modo da vendere 40 pezzi) non bisognava perdere tempo con persone che si impuntavano ed anzi lasciarle subito perdere in modo da utilizzare i minuti risparmiati per ulteriori negozi.

Cominciava poi la galvanizzazione (che loro chiamavano "Impact") che sembrava un piccolo show, con i vari capi-cellule che battevano le mani in un ritmico incalzare e poi cori da stadio organizzati:

loro: "Volete un impact?"
Noi in coro "Siiiii!"
Loro (ancora): "VOLETE UN IMPACT???"
E noi: "SIII!!! Vogliamo un impact!! VOGLIAMO UN IMPACT!!! (ruotando i pugni a frullatore dal basso verso l'alto) OOOOHHHH! FACCI UN IMPACT -e qui dicevamo il nome dell'oratore- SIAMO PRONTI!!! LUCI!!! MOTORE!!! AZIONE!!! " (gesto delle due mani che fanno un Ciak da cinema e loro cominciavano l'impact).

Ricordo un capo-cellula che si muoveva e parlava come un rapper, facendo un mega-discorso sulla possibilità incredibile che ci veniva offerta, su come partendo da zero (si riferiva al totale della somma dei soldi che avevamo in tasca in quel momento?) presto saremmo diventati dei numeri uno, ricchi da far schifo. Naturalmente non mancava nessuno di puntualizzare che la manna non sarebbe piovuta dal cielo, che ce la saremmo dovuta guadagnare col sudore della fronte ma che se ci fossimo impegnati davvero, prima o poi avremmo smesso di scarpinare ed avremmo avuto anche noi il nostro ufficio.
Un ragazzo australiano che si vantava di aver lasciato la sua ragazza con la quale stava progettando il matrimonio perché lei non voleva che lui facesse quel lavoro, ad un impact successivo (forse uno o due giorni dopo) ci fece un mega-discorsone allegorico, raccontandoci la parabole dei due costruttori edili che avevano fretta di edificare due palazzi per venderli ma uno dei due aveva fretta, troppa fretta e decise di scavare le fondamenta solo per dieci piani e di proceder quindi con l'edificazione per poter cominciare a vendere gli appartamenti il prima possibile. L'altro costruttore invece aveva deciso di continuare a scavare le fondamenta in previsione di un boom delle vendite che si sarebbe avverato in futuro e mentre il primo rivale lo prendeva in giro perchè lui cominciava ad incassare ed il secondo no, il secondo incurante di tutto continuava a scavare. Poi un giorno anche il secondo decide di cominciare ad edificare ed a vendere e qua successe che il primo si trovò a non poter più costruire (e guadagnare) ulteriormente, mentre il secondo -ora che l'affare era in pieno boom- finalmente poteva prendersi le sue vendette ed oltrepassare il primo per la mole di lavoro e di profitti.Insomma una mega-parabola il cui succo era "Lavorate, faticate, scarpinate, subìte ma soprattutto imparate, imparate e poi ancora imparate, che più imparate e più guadagnerete quando sarà la vostra volta di essere quà al posto mio".
Da notare che colui che ci illustrò questa parabola (ed il verbo "illustrare" è quanto mai indicato dato che si avvaleva di una lavagna mostrarci gli esempi) non era ancora un capo guadagnante.

Insomma, alla fine dell'impact si era tutti belli carichi, si andava al magazzino, si ricevevano dei borsoni belli strapieni di prodotti, si firmava la ricevuta e via ad invadere Londra con le ciofeche inutili.
Naturalmente a noi novizi non ci avrebbero mai mandato allo sbaraglio senza un po' di allenamento insieme agli esperti.Il primo giorno come ho già scritto, ho seguito il mio capo-cellula per rendermi conto di come fosse il lavoro. Alla fine della giornata il capo dell'ufficio mi volle parlare, per chiedermi cosa pensavo del business e se mi interessava. Alla fine di mi chiese un motivo per cui lui avrebbe dovuto assumermi. Io non so perchè, ma intuii subito non la risposta giusta ma quella che lui voleva sentirsi dire, ossia che se mi avesse dato la possibilità, io avrei fatto del mio meglio, anzi di più per aver successo. Firmai il contratto di assunzione.

Il primo giorno da assunto-che-deve-imparare venni aggregato ad un venditore veterano, uno di quelli che (almeno così sosteneva lui) sarebbe stato promosso a capo-cellula di lì a qualche tempo almeno giudicando in base ai suoi guadagni quotidiani.
Insieme a noi c'era anche un ragazzino che aveva risposto all'annuncio sul TNT perchè cercava un lavoro per guadagnare qualche soldo durante le vacanze estive (era studente). Durante la pausa pranzo il veterano gli suggerì in maniera implicita di abbandonare la scuola e di dedicarsi esclusivamente a quel lavoro che lo avrebbe arricchito in una maniera che nessun college avrebbe mai potuto. Ripensandoci ora dopo tanti anni, non so se è una bella cosa, suggerire certe cose a dei ragazzini.
Ricordo la zona che "battemmo": Hackney, un sobborgo di Londra abitato in prevalenza da turchi, almeno a giudicare dal numero delle kebab-houses che ci vedevo. Dopo un po' di tempo andai ad abitare proprio lì vicino e mi tornarono in mente i posti in cui scarpinai quel giorno. Non ricordo quanto vendemmo, nè che paccottiglia cercammo di rifilare.
La sera, al ritorno, rimasi sorpreso da alcuni ragazzi che agitavano un campanaccio di quelli che nei vecchi films neo-realisti di Rossellini o di Visconti si vedono sempre in mano ai bidelli che li usano al cambio dell'ora (e ricordo che ce ne era uno uguale anche nella mia vecchia scuola media ed i bidelli lo usavano quando mancava la corrente). Mi spiegarono che il suonare il campanaccio era un privilegio concesso solo a coloro che durante la giornata erano riusciti a battere quota 40 sterline di guadagno. Una bella scampanata e tutti gli altri erano in fila per congratularsi e stringer le mani ai loro "eroi per un minuto".
Una di quelle sere, non ricordo quale, mi venne presentato un ragazzo di Ravenna, un veterano, uno che ce l'aveva fatta, che non solo era capo-cellula ma che entro un paio di mesi avrebbe aperto il suo ufficio nella zona di Wimbledon, fatto questo che lo rendeva ammirato ed invidiato da tutti noi neo-fiti. Anche lui naturalmente ci raccontò dei suoi inizi da principiante assoluto senza arte nè parte ma con una gran voglia di imparare e di farcela, senza lasciarsi demoralizzare.
Poi lui mi presentò un ragazzo inglese dicendomi che il primo giorno in giro da solo guadagnò più di 120 sterline, il secondo più di 130 ed il terzo venne promosso! Allora naturalmente chiesi lumi a questo fuoriclasse il quale mi disse che non c'erano segreti: si doveva andare, fare e divertirsi.

Il secondo giorno fui aggregato all'australiano di cui ho già scritto, quello del discorso sulle fondamenta. Anche lui era bello carico. Quel giorno forse avrei dovuto esser più carico io in quanto vendetti più di lui. Mentre lui faceva un lato della strada, io mi occupavo dei negozi sull'altro.Capitai in un piccolo bar gestito da immigrati italiani che rifiutarono le radio torce in quanto ne avevano già una (e me la mostrarono). In compenso i loro clienti forse mi presero in simpatia e comprarono parecchio. Il mio collega (non vedendomi uscire) venne a vedere se stavo bene e fu sorpreso della scena.
Durante la giornata mi beccai pure una sgridata perchè non avevo seguito il comandamento "Work Your Area". Lui mi raggiunse dopo alcuni minuti che non lo vedevo dicendomi che mi aveva visto saltare un negozio, negozio nel quale poi era entrato lui, vendendo due prodotti ed ordinandomi di stare attento in futuro perchè rischiavo di non guadagnare.
A metà giornata facemmo i conti del venduto e disse che lo stavo battendo!

Il terzo giorno fui aggregato a due venditori, due ragazzi giovani uno dei quali neo-laureato in economia che sosteneva che questo tipo di compagnia era il futuro. Questi due ragazzi erano molto entusiasti e convinti di farcela.
Con noi c'era una signora nuova la quale però a metà strada disse che non ce la faceva più in quanto non avendo saputo che avrebbe dovuto scarpinare, non indossò scarpe comode. Fu lasciata andare.
Di quella giornata ricordo un negozio in zona Tulse Hill, vicino a Brixton dove la mia fede cominciò a vacillare. Era un negozio di articoli per idraulici, io entro come da manuale ma la padrona mi spinse fuori con una certa violenza. Poi, in strada, si incazzò e mi chiese perchè cavolo ero tornato dato che mi aveva appena detto che non avrebbe comprato nulla. Io capisco che mi stava confondendo con uno degli altri due ragazzi e le disse che si stava sbagliando, ma lei non volle sentire ragioni: ero io e basta! A quel punto avrei dovuto mandarla affanculo, meglio se in italiano, ed andarmene ma invece cercai di farle capire che si sbagliava. Lei, senza dire nulla entrò con una certa fretta nel suo negozio ed io -forse intuendo qualcosa, non ricordo- decisi di allontanarmi. E feci bene: quando fui ad una certa distanza ed al lato opposto della strada, vidi che la stregaccia stava uscendo dal suo negozio brandendo un oggetto che mi sembrava una mazza da baseball od un tubo di metallo. Di sicuro, se fossi restato, me ne avrebbe date tante ma tante! Ma quella fu l'esperienza peggiore. Negli altri casi negativi i negozianti si limitavano a dirmi di uscire e basta (anche se uno mi minacciò di menarmi perchè insistevo. Ma io insistevo perchè non avevo capito che mi aveva detto di non essere interessato a comprare nulla. Credevo che mi avesse detto di non essere interessato solo al primo prodotto ed io -come da manuale- ero passato al secondo).
La sera poi di ritorno alla sede, il mio capo-cellula chiese ad uno di quei due ragazzi se secondo lui io ero pronto a camminare con le mie gambe e lui rispose che lo ero, assolutamente.

E fu così che arrivò il giorno del battesimo del fuoco. La mattina mi presentai come al solito, assistetti all'impact come sempre, ma con la differenza che questa volta venni unito ad un gruppetto di altri esordienti ai quali un veterano riassunse su una lavagna i vari tipi di rifiuto possibili e quali reazioni avremmo dovuto assumere.
Poi il capo-cellula mi consegnò un foglio elencante alcuni consigli da seguire, tra i quali ricordo il non lasciarsi prendere dallo sconforto, il non rompersi la schiena con i borsoni ma di chiedere ad un negoziante il permesso di lasciarlo per un po' nel suo negozio (strano che nessuno temesse la paura di attentati. E sì che anche allora ne succedevano a Londra, grazie all'I.R.A.), e poi a metà mattinata avrei dovuto telefonare al capo-ufficio per consultarmi con lui.

Bon, ormai il dado è tratto, si avvicina l'ora della partenza, saluto tutti, prendo i miei due borsoni (contenenti degli album con illustrazioni da colorare raccolti in confezioni di plastica a foggia di valigetta con inclusi dei colori a spirito -fra l'altro fu in quell'occasione che imparai che "colori a spirito" in inglese si dice "crayons". L'altro prodotto non me lo ricordo), firmo la ricevuta, saluto tutti e via, partenza verso una zona che conoscevo: Archway.
Questa zona la conoscevo in quanto ci avevo abitato in precedenza. Sapevo che nella Holloway Road (uno stradone che passa di là) c'erano tantissimi negozi, ma una volta arrivato, forse per timidezza, forse perchè pensavo che magari tutti andavano a procacciarsi i clienti sulla Holloway Road trascurando tanti vialetti adiacenti, imbroccai qualche via a caso e provai a cominciare.

Un paio di negozi ai quali corrisposero altrettanti rifiuti e...decisi di mollare tutto!

Diciamoci la verità: chi volevo prendere in giro? Quello era un lavoro per svolgere il quale occorre possedere determinate doti, nessuna delle quali sentivo di avere. Certo, fino a quando scarpinavo aggregato a qualcuno, era un conto. Potevo scambiare due chiacchiere, potevo farmi consolare nei momenti di sconforto, potevo chiedere qualche consiglio...ma da solo?
E poi non c'era solo il problema della timidezza, problema attenuabile se spalleggiato da qualcuno, no...c'era anche il problema della permalosità. Per fare bene l’ambulante bisogna non prendersela quando si viene rifiutati, bisogna non dare peso agli insulti, bisogna insomma avere un atteggiamento diverso dal mio all'epoca (e forse anche adesso).
Alla fine ho telefonato con largo anticipo il capo-ufficio comunicandogli la mia decisione di licenziarmi. Lui mi disse di tornare in ufficio che ne avremmo discusso e così feci. Lì per lì inventai di sana pianta una scusa (scusa che non trascrivo perchè coinvolgeva una persona assolutamente estranea ai fatti -azione di cui successivamente mi pentii, anche se la persona coinvolta non lo venne mai a sapere) perchè ero così vigliacco da non aver il coraggio di dire la verità, ossia che non mi piaceva farmi umiliare dai rifiuti dei negozianti, che non mi piaceva dover sorridere a persone alle quali avrei volentieri sparato, e che preferivo un lavoro ad orario più o meno fisso, con uno stipendio sicuro per quanto magro.
Inoltre volevo avere tempo libero per stare con la mia futura (ex) moglie, dato che ci eravamo messi insieme da poco e si sà che il periodo iniziale di una storia d'amore è il più bello.
Lui invece tentò ogni argomento per convincermi a restare, facendomi notare che stavo per sciupare la più grande occasione della mia vita, forse l'unica possibilità che avrei mai avuto di diventare ricco oltre ogni immaginazione, che certa gente avrebbe venduto l'anima (ed altro) per essere al mio posto ma alla fine si arrese e mi congedò dicendomi che ero pazzo.

Restituii la merce, salutai tutti (ossia le due segretarie, dato che tutto il resto della banda era in giro a vendere, imparare e guadagnare), tornai a casa, mangiai il pranzo che la mia futura (ex) moglie mi aveva preparato (in una scatola di plastica, alla maniera giapponese), mi cambiai e poi corsi alla scuola dove lei stava studiando per attenderla all'uscita.
Quando uscì fu veramente sorpresa. Le spiegai che mi ero licenziato ed il perchè. Non so se ne fu contenta, non lo capii, ma tempo dopo mi fece parecchie storie perchè non lavoravo, dicendomi che almeno con la Global Marketing qualcosa facevo invece che ciondolare tutto il giorno. Per fortuna dopo poco tempo trovai un lavoro da cameriere (mentendo sul curriculum , ma questa è un'altra storia) nella sala mensa della BBC World Service (la stazione radio della BBC che trasmette in tutto il mondo) ed il rapporto filò liscio.

Successivamente ebbi alcuni contatti visivi con la Global Marketing, ma roba da poco.
Il capo-cellula, quando seppe che mi ero licenziato tentò di contattarmi telefonicamente ma io non ero in casa.
Capitò per tre volte di vedere in giro i venditori della Global in azione, una volta delle quali notai il capo-ufficio insieme ad una novizia (e mi chiesi che diavolo ci faceva lui in giro invece di starsene in ufficio. Poi mi tornò in mente una voce che avevo sentito prima o dopo un impact, voce secondo la quale quel capo-ufficio era in realtà un capo-cellula che stava sostituendo il vero capo-ufficio che era o in malattia o in vacanza, e capii) ma lui non mi riconobbe.
Mi capitò anche da quella volta di notare sulla porta di alcuni negozi un cartello scritto a mano che avvisava "No door-to-door salesmen" ,ossia "Vietato l'ingresso agli ambulanti" e pensai che forse l'avevano affisso dei negozianti stufi dei continui tentativi di vendite. Sì, perchè come ho già scritto precedentemente, non era una rete organizzata di venditori, ognuno con la sua zona di esclusiva competenza, ma un gruppone di ragazzi i quali decidevano da soli dove e quando operare, di conseguenza era normale, normalissimo che tre o più ambulanti si ritrovassero sulla stessa strada in momenti della giornata differenti. Io stesso durante i 3 giorni da novizio mi sentii dire tantissime volte che era già passato un altro collega precedentemente. E mi capitò pure in zona Camden Town di incontrare un collega, un polacco, il quale mi avvisò che si era appena lavorato tutti i negozi alle sue spalle, consigliandomi di deviare il percorso e che altrettanto avrebbe fatto anche lui. Un'altra volta ricordo un novizio che si lamentava perchè era il suo primo giorno da solo ed aveva incassato solo 4 sterline. Secondo lui il motivo del fallimento era da ricercarsi nel fatto che in quella zona quel giorno era stato preceduto da un altro novizio lì presente. Il capo-cellula gli disse che secondo lui il vero problema non era la concorrenza ma l'incapacità di saper vendere e consigliò di ri-farsi un altro periodo di training.

Concludendo, oggi dopo tanti anni penso che a qualcosa quella breve esperienza sia servita: mi ha fatto capire che non sono tagliato per fare il venditore ambulante a domicilio.
Come ho già scritto, digitando su google il nome della Global Marketing, compare di tutto, di più ma non quella ditta che conoscevo io. Secondo me non esiste più. Penso che sia andata avanti per un po’ e poi sia collassata, un po’ come certe imprese piramidali che si allargano, si allargano e poi falliscono. Se così fosse stato, mi dispiacerebbe per coloro che ci misero parecchio sudore della fronte e parecchio entusiasmo.

Anni dopo, in Giappone, stavo fumando (brutta abitudine, per fortuna che ho smesso nel 2002) fuori da un palazzo nel quale dovevo entrare dopo 5 minuti quando mi si avvicina una ragazza nipponica. Mi chiede se parlo giapponese e mi mostra…una torcia che stava cercando di vendere nella zona. “Noooo!”, penso “Questa ragazza lavora per una ditta come la Global Marketing?”. Per fortuna che quel giorno non avevo soldi con me, sennò mi sarei lasciato intenerire dai ricordi londinesi ed avrei alleggerito il portafogli in cambio di una ciofeca inutile, e quella ragazza ne aveva un borsone pieno.Ricordo poi che lei fece un errore: mi mostrò il prodotto tenendoselo in mano lei invece che darlo in mano a me.

(1) sterline, in inglese.
(2) sterline, in slang inglese

mercoledì 21 aprile 2010

Scene tagliate

Ieri sera ho creato un video assemblando le scene tagliate dal video della sbaghinata(1) al Veglie In Volo (ossia quello del post precedente a questo). Perchè le avevo tagliate allora e le ho montate ora? Per due motivi: il primo è perchè nel primo video volevo mettere in risalto sia il ristorante che i piatti che offre ed il secondo è che YouTube ha dei limiti, cioè più di 10 minuti di video non fa inserire.
Il video del presente post è poi sottotitolato, sia per mettere in risalto la demenzialità dei nostri dialoghi, sia per non costringere chi lo guarderà (ci sarà qualcuno?) ad alzare troppo il volume per capire.
Bè, chiunque voglia vederlo, clicchi quà sotto:


Scene tagliate e dialoghi demenziali.

(1) Dicesi "sbaghinata" l'atto del mangiare come un maiale (da "baghino" che vuol dire maiale in Roagna, appunto)

martedì 20 aprile 2010

Tanti auguri, Andrea!


Padroni del proprio colesterolo...

domenica 11 aprile 2010

Deambulata motorizzata (from Coriano-town to Riccione-city)

L'altro giorno mi trovavo nella zona industriale di Coriano (ebbene sì: Coriano ha una zona industriale!) con la macchina e stavo tronando a casa. Dato che avevo con me sia la macchina digitale che un treppiede piccolino, ho voluto provare a video-registrare il tragitto. Il risultato è un film da 12 minuti che con il Magix Video ho provato a concentrare in soli tre, eliminando i rumori di sottofondo (leggi: il motore della macchina + il traffico), sostituendoli con la musichetta Pop Corn. Basta cliccare quà sotto per vederlo.

TUTTO QUELLO CHE C'E' TRA RICCIONE E CORIANO

Piccola avvertenza: è un video noioso, senza immaggini shockanti, immorali, proibite, offensive o porno. Anzi, molti di voi non lo reggeranno fino alla fine. Io vi ho avvisati....

giovedì 18 marzo 2010

RECENSIONE NUMERO 2



Devo ammettere che questo post, che sto scrivendo in fretta & furia, può a ben diritto essere annunciato con un classico "...a grande richiesta". Adesso spiego.

Da quando 2 mesi fa ho scritto dell'odissea virtuale capitatami per comprare il libro sulla defunta ferrovia Rimini-San Marino, ho cercato se su FaceBook esiste un gruppo dedicato a quella strada ferrata. In fondo su FaceBook si trovano gruppi su qualsiasi cosa possibile ed immaginabile, da quello di chi da giovane si spalmava le mani di colla Vinavil e poi la estraeva come una seconda pelle (non ci credete? Ed allora cliccate qua e ricredetevi!) a quello -modestamente creato da me stesso- dedicato ad una mitica insegnante della scuola alberghiera rimasta per sempre nei nostri cuori (e se volete sapere come si chiamava, cliccate qua) oppure -approfitto del mio blog per fare un po' di pubblicità ai miei gruppi, scusate, eh?- un altro gruppo che ho creato io e che è dedicato a tutti coloro -come il sottoscritto- che hanno sposato una giapponese (qua) (1). Insomma, ho scoperto che un gruppo dedicato alla ferrovia in questione esiste, si chiama C'era una volta la ferrovia Rimini - San Marino, in tre mesi di vita a sfondato quota 1000 membri e chiunque lo voglia vedere, lo può fare cliccando qua.

Perchè questa introduzione? Perchè dopo aver scovato questo gruppo, gli ho segnalato il post in cui ho raccontato della guerra per ottenere il libro (che poi è il post precedente a questo) ed ho scoperto che l'autrice del gruppo aveva tenuto d'occhio l'asta su E-bay, domandandosi fino all'ultimo a quale prezzo sarebbe stato venduto il libro e -probabilmente- domandandosi chi era il pazzo che rincarava l'offerta. Poi mi ha chiesto una recensione del libro, invito rinnovato altre volte ed ora eccomi qua. Quindi dedico il presente post alla fondatrice del gruppo (ma non sapendo se vuole che io scriva il suo nome qua, non lo scrivo), senza la quale, forse adesso starei a guardare la TV invece di scrivere.

Il libro è esattamente come lo ricordavo: copertina cartonata, foto d'epoca (sia del periodo durante la costruzione della ferrovia, sia del periodo durante il suo servizio, sia di periodi successivi alla dismissione, fino al 1982, anno della pubblicazione) tutte in bianco e nero, schemi, tracciati e poi naturalmente la storia, aneddoti ed altro.

Grazie a questo libro ho finalmente capito molte cosette. Per esempio, non riuscivo a capire come mai non trovavo l'entrata della galleria del Montale, (ossia di quella la cui uscita si vede da piazzale della Stazione a San Marino) quando "circumnavigavo il Monte Titano: perchè a differenza di quello che credevo io, non era dal lato opposto del monte ma sullo stesso. Ed ho anche capito perchè non riuscivo mai a scorgere il tracciato (o quello che ne restava dopo tanti anni) dal castello centrale del monte Titano (che gode di una bellissima vista panoramica): perchè non era rettilineo come pensavo io ma procedeva un po' a zig-zag tra curve e gallerie. Ho poi scoperto che la struttura a Rimini in zona Colonnella non era una stazione ma un casello ferroviario....Ma quante cose che non sapevo!!! Quello che non ho mai capito è perchè dopo la guerra, i governi delle due repubbliche, invece di restaurare la linea bombardata dagli inglesi, hanno preferito sacrificarla per la superstrada Rimini-San marino. Evidentemente non hanno pensato al futuro, credendo che il trasporto su ferro era il passato e che il futuro sarebbe stato del trasporto su gomma. Veramente un peccato che le cose siano andate così. Chissà quanti morti in meno (di incidenti stradali, di tumori causati dall'eccesso di monossido di carbonio -ed in quella superstrada, nelle ore di punta, ce ne è veramente troppo, nell'aria) ci sarebbero stati, quante migliaia di ore di pendolarismo automobilistico e quanti soldi per la benzina risparmiati dai pendolari. Invece....

Il libro si legge facilmente perchè è scritto bene, senza termini tecnici incomprensibili agli ignorati come il sottoscritto. L'unico problema è solo che è un po' datato, che le ultime notizie sullo stato di ciò che resta dell'opera, risalgono ad una trentina di anni fa. Ma per fortuna esiste il gruppo sul FacciaLibro la cui autrice non si lascia sfuggire nessuna notizia sulla ferrovia (e non manca di pubblicarla) che contiene una sterminata galleria fotografica di foto sia d'epoca (molte delle quali non compaiono sul libro) che attuali.

Sempre grazie al libro ed al gruppo, ho scoperto che anche a San Marino esistono tracce del passato (alcune gallerie aperte al traffico ciclo-pedonale, una al traffico automobilistico, altre chiuse, tracciati con i pali, stazioni restaurate ed adibite ad uso privato, carcasse di vagoni, ecc.) ed ora, quando certi pomeriggi ho tempo e mio figlio non riesce a fare il pisolino, lo metto in macchina e lo porto a fare un giro a San Marino, alla ricerca delle "vestigia del passato". E' incredibile come un bambino che non riesce a prendere sonno nemmeno con i miracoli, non appena è in macchina e parte il motore, crolli come un sasso! Così quando arrivo in loco, lui dorme e non vede niente. Spesso gli dico che lo porto a vedereil trenino bianco-azzurro, ossia l'unico treno rimasto ancora intatto e che si trova parcheggiato(2) in zona Valdragone, su un viadotto, ma già so che tanto non ci arriva sveglio. E penso che sia un peccato, perchè mio figlio impazzisce per i treni. Basta pensare che starebbe ore ed ore a guardare questo video qua ...ma sto uscendo dal seminato. Torniamo alla recensione.

Adesso dovrei concludere la recnsione con una raccomandazione a comprare questo libro ma....non posso ed il perchè lo si può leggere nel commento che Roberto Renzi ha scritto al mio post precedente e che qua copio ed incollo:

Caro amico,anch'io ho seguito l'andamento dell'asta su Ebay, ma solo per vedere a che quotazione sarebbe arrivato... Posso soddisfare alcune tue curiosità. Del libro di G.G. Turchi (tirato inizialmente in 2000 copie, se ben ricordo) sono uscite ben tre ristampe, l'ultima delle quali finanziata dalla libreria che si trova nel centro "Atlante", tutte esaurite.L'editrice ETR esiste ancora (pubblica la rivista "I treni"), ma nemmeno presso di lei avresti potuto trovare il libro, quindi hai fatto bene a rivolgerti a Ebay.Chi scrive, collaborò attivamente con l'autore (riprodussi molte foto e le stampai personalmente con il mio piccolo ingranditore...).Non è escluso che durante la manifestazione "Il treno del tempo", organizzata da Adriavapore - Associazione treni storici Emilia-Romagna - che si terrà nel Deposito locomotive di Rimini nei giorni 12-13 giugno prossimi, si faccia una iniziativa con la partecipazione del Turchi proprio sulla ferrovia di San Marino.Su Facebook dovrebbero comparire le relative indicazioni...Cordialmente.Roberto Renzi

Insomma, il libro è esauritissimo, non è mai stato ristampato e se non era per Ebay non l'avrei mai trovato, ergo, chi lo vuole leggere, non deve far altro che mettersi a caccia, sperando che qualcuno che ce l'ha voglia venderlo. Non contate su di me che con quello che l'ho pagato, come minimo dovrei conservarlo in cassaforte invece che sullo scaffale.

Detto (anzi, scritto) questo, direi che è tutto.

Alla prossima.


(1) A dire il vero, ne ho sposate due: giapponese la prima moglie e giapponese anche la seconda. Sono recidivo!

(2) Chissà se si può utilizzare l'aggettivo "parcheggiato" anche per i treni. Boh?

mercoledì 20 gennaio 2010

Ferrovie, libri, aste e morale (aneddoto marchesco n°1)

C'avete presente un oggetto (un giocattolo, un libro od un capo firmato) che ogni volta che lo vedete in vetrina (od in libreria, o nella boutique) vi dite "Uno di questi giorni lo compro. Oggi nò perchè non ho portato dietro i soldi ma uno di questi giorni lo compro. Sì, sì. Uno di questi giorni è mio!" e poi finisce che quando finalmente vi trovate nel negozio (o nella libreria, o nella boutique), EH? l'oggetto (ossia il giocattolo, il libro od il capo firmato) non c'è più ed allora chiedete al/la commesso/a delucidazioni e lui/lei vi dice che è esurito, magari che l'ultimo è stato venduto pochi minuti prima da qualche cliente che ormai è uscito/a e che è inutile cercarlo/la perchè tanto chissà dove si trova ora? E vi è mai capitato che tale oggetto del vostro desiderio -oggetto che fino al giorno prima era in bella mostra nella vetrina, o su uno scaffale oppure addosso ad un manichino- sia improvvisamente diventato esaurito, o fuori commercio?

Ecco. Più o meno è quello che mi è capitato a me una ventina di anni fa!

Era, mi pare, il 1991 e spesso di sabato pomeriggio mi ritrovavo a passeggiare da solo per il centro di Rimini in quanto i miei amici o studiavano (gli universitari) o lavoravano oppure giocavano a pallone nel parco Marecchia e dato che a me il calcio non piace -Sì, esatto: non mi piace! E allora?- io non li incontravo fino alla fine della partita e tanto non sarei andato al parco a vederli giocare e basta, senza nemmeno una panchina su cui sedersi ed ad annoiarmi a morte. Di solito non avevo abbastanza soldi per passare l'intero pomeriggio in qualche bar a bere/mangiare -non so come funzioni nelle altre città ma nei bar riminesi o riccionesi se stai troppo seduto senza consumare non te la mandano a dire: ti cacciano via e s'incazzano pure- per passare il tempo facevo il Bookshop crawl, un neologismo che ho inventato adesso e che è come il Pub Crawl (il quale a sua volta -secondo Wikipedia- altro non è che l'azione di una o più persone di bere alcolici in diversi pub nell'arco di una sola serata, solitamente muovendosi da un pub all'altro a piedi) con la differenza che invece che tra i pub ci si muove tra le librerie (BookShop, appunto. Non "library",che molti credono che voglia dire libreria ed invece vuol dire biblioteca. Scusate ma dopo 4 anni a Londra qualcosa ho imparato anche io).

Insomma, per farla breve che fin'ora son già stato abbastanza-anzi-troppo prolisso, in una di quelle librerie vedevo su uno scaffale un libro che attirò la mia attenzione. Eccolo:
Sia il titolo che la copertina ne spiegano il contenuto. Siate mai andati a San Marino in treno? Sì? Allora o siete anziani oppure mentite: la linea ferroviaria Rimini-San Marino esistette solo dal 1932 al 1944 quando fu bombardata ben bene dagli inglesi per errore e mai più ricostruita dopo il conflitto. Anzi parte del suo tracciato fù compromesso irrimediabilmente dalla costruzione della super-strada che collega appunto Rimini a San Marino. Un paradosso: ufficialmente il servizio ferroviario per lo stato italiano è solo sospeso mentre per quello sanmarinese è proprio dismesso, con la conseguenza che mentre in Italia grosse porzioni del tracciato originale sono ancora libere da costruzioni e quindi potenzialmente ripristinabili, a San marino ci hanno proprio costruito sopra, quindi in futuro un'ipotetico ripristino della linea non sarebbe possibile ed è un peccato perchè la superstrada Rimini-San Marino durante le ore di punta è super-congestionata ed un treno che la sostituisse sarebbe sempre pieno di pendolari contenti e paganti.


Tornando al 1991, dicevo che pur non comprando questo libro, lo sfogliavo parecchie volte, davo una sbirciata alle foto e poi lo riponevo sullo scaffale al punto che più o meno mi ero fatto un'idea molto ma molto fugace di come quella ferrovia dovesse apparire. Da quella volta, guidando per Rimini, mi accorsi che nonostante la sparizione della strada ferrata, qualche traccia ancora esisteva: pali per l'alimentazione elettrica della locomotiva anneriti dalla ruggine e formanti una lunga fila in mezzo ai campi agricoli che sembrano tronconi carbonizzati di alberi , edifici ora trasformati in abitazioni private ma la cui architettura dimostra chiaramente che furono progettati e costruiti come stazioni ferroviarie (uno si trova a Rimini in zona Colonnella, un altro a Cersolo di Coriano -quest'ultimo addirittura ancora reca sulla parete i resti della scritta CORIANO CERASOLO- e gli altri entro i confini sanmarinesi), ponti di cemento attualmente adibiti a piste ciclo-pedonali, una galleria ora trasformata in tunnel stradale a San Marino e, sempre a San Marino, una piazza denominata Piazza Della Stazione in cui si trovava il capolinea della ferrovia, capolinea che oggi non esiste più e che solo il nome più l'ingresso/uscita del tunnel ferroviario, chiuso da un portone, ci ricordano che un tempo si poteva benissimo recarsi dal centro della più piccola repubblica del mondo (almeno così dicono i depliant pubblicitari sanmarinesi e forse è vero perchè il principato di Monaco o la città del Vaticano, per esempio, non sono repubbliche come le intendiamo noi) a quello di Rimini, senza macchina.

E tutto questo nel 1991. Poi l'acqua scorse sotto i ponti, partii per Londra, ci passai 4 anni, feci altre cose che ora non sto a scrivere, ecc ecc con la conseguenza che avendo altre cose in testa, cose ben più importanti, mi scordai della linea ferroviaria Rimini - San Marino e confesso che sono riuscito a vivere bene lo stesso!

18 anni dopo, ossia l'anno scorso (essendo adesso che scrivo il 2010), spipolando su e giu per internet mi imbatto in alcune foto d'epoca raffiguranti proprio il libro di cui sopra e pian piano mi tornano in mente alcuni ricordi. Così curiosando in giro su WikiPedia scopro che esiste una pagina dedicata proprio a questa ferrovia, corredata pure di dati tecnici, mappa ed altro (eccola qua). Se penso che Wikipedia è un'immensa enciclopedia on-line compilata non da dotti, medici e sapienti -o almeno non solo- ma anche da gente comune, mi rendo conto che ci devono essere in giro parecchi appassionati (per nostalgia? Per interesse storico? Chissà!) di questa ferrovia. Se così non fosse, non mi spiegherei cosa avrebbe spinto qualcuno a raccogliere tante foto d'epoca ed a scattarne di nuove per includerle in questa pagina qua . Ma la passione degli appassionati non si è limitata a cercare foto antiche, a scattarne a ciò che resta od a raccogliere dati ed informazioni: c'è stato pure chi ha voluto ricostruire al computer panoramiche della linea, le stazioni, persino i treni. Guardate qua se non ci credete! E mica solo scritti e foto, eh? Su YouTube ho trovato questo filmatino che mostra l'interno dell'ultima galleria (o della prima, se foste partiti da San Marino alla volta di Rimini anzichè il contrario) detta del Montale e che era la più lunga:




Se avete cliccato il fim quì sopra, vi sarete accorti che i ragazzi che sono entrati nel tunnel l'han fatto per un motivo diverso dalla passione ferroviaria, ma il filmato resta sempre un documento importante perchè in giro non ne ho trovati altri che mostrino l'interno di quest'opera d'ingegneria niente male. Se poi vi siete chiesti che razza di artista fosse questo Maurizio Cattelan e come possa sbarcare il lunario con le sue "opere d'arte"...beh, non preoccupatevi: avete pensato la stessa cosa che ho pensato io ed anche qualche ragazzo tra coloro che appaiono nel filmato, a quanto mi sembra di capire.

Dopo tanto girare on-line e dopo tanto leggere e vedere, mi è tornato in mente il libro di cui ho già scritto sopra e mi chiesi se fosse ancora disponibile in giro. Ho cercato prima su Internet Book Shop ma niente. Poi su Book On Line , idem con patate. Quindi su Amazon ma peggio ancora. Infine su Ebay e...bingo! Ormai è fatta. Dopo 20 anni finalmente il libro sarà mio...e qui comincia un episodio con una morale, che in fondo è l'ìnput che mi ha fatto scrivere questo post (Sì: tutta la storia del libro era per introdurre l'aneddoto con morale che ora scrivo!)

In tutti questi anni il libro, che probabilmente all'epoca (1982) fu stampato con una tiratura bassa dato che non era certo un'opera letteraria di Stephen King o di Umberto Eco; era esauritissimo da tempo, probabilmente mai ristampato e non mi stupirei poi se scoprissi che la casa editrice (ETR Editrice Trasporti su Rotaia) non esiste più. Ecco perchè quando l'ho visto in vendita, ho pensato che un'occasione così non mi sarebbe più capitata per chissà quanti anni ancora, e mi sono fiondato a fare un'offerta.

Il prezzo di partenza dell'asta era di €15 più spese di spedizione. C'era la possibilità di comprarlo subito ad €30 più spese postali ma ho pensato che tanto c'ero solo io interessato e che offrendone 20 me lo sarei aggiudicato, risparmiando 10 euro. Invece scappa fuori che non sono l'unico. Qualcun'altro rilancia. GASP!!!! Devo intervenire! Rilancio anche io. Rilancia anche lui. Allora mi fiondo a comprarlo subito ma E-bay dice che questa possibilità non c'è più perchè sono cominciate le offerte! Allora aumento l' "Offerta Massima" che sarebbe l'indicare ad E-bay fino a quanto si è disposti a sganciare per l'aquisto ed E-bay in maniera automatica ri-lancia di 50 centesimi sull'offerta dei concorrenti, il tutto fino alla cifra indicata che nel mio caso era fino a 60 euro e poi pace, mi sarei rassegnato e ci avrei messo una pietra sopra (oltre a rimpiangere l'acquisto perduto vita natural durante). Stamattina accendo il PC, dò un'occhiata all'asta e scopro che mi sono aggiudicato il libro per... 52 euro + 8 di spese di spedizione + commissione per Paypal, totale €62!!!!

Volevo pagare 10 euro in meno ed invece ne ho pagati 30 in più! Ben mi sta!!!

Adesso attendo con trepidazione il postino e pian piano leggerò di gusto questa rara (e costosa) opera letteraria così come un gourmet si gusta piano piano un piatto prelibato per il quale si è dovuto svenare. E se il libro mi deluderà...pazienza, almeno non passerò il resto della vita (od i prossimi 10 minuti) a rimpiangere di essermelo perso. E magari poi un giorno lo recensirò, chissà.

Alla prossima.

Ps:

"E quale sarebbe la morale di questa storia?", chiederete voi. La morale è che quando si vede un articolo che ci interessa su E-bay e c'è la possibilità di comprarlo subito al prezzo dell'offerente la si deve usare, la possibilità, invece che fare i tirchi e cominciare un'asta che poi ci si rimette. Bella perla di saggezza, eh?

giovedì 14 gennaio 2010

RECENSIONE NUMERO 1

In questo post voglio parlare di uno dei tanti libri che ho molto apprezzato, letto, ri-letto e stra-letto: nella fattispecie de I PROFESSIONISTI di Carlos Gimenez.



Certo, per alcuni (molti?) di quelli che "se-non-è-scritto-non-è-un-libro!" il fatto che io definisca questa raccolta di pagine illustrate e rilegate con tanto di copertina e frontespizio con la parola "libro" può sembrare offensivo ma...ma così è e quindi procediamo.

Il bestio (22 centimetri X 30, 170 pagine circa) è una raccolta di storie (o dovrei dire novelle grafiche) in bianco e nero -non lasciamoci ingannare dalla policromia della copertina che le copertine rigide o morbide che siano sono sempre colorate- che parlano, anzi narrano, di fumetti ma soprattutto dei loro autori, i disegnatori o fumettari che dir si voglia. Tutte le storie sono basate su esperienze dirette dello (ed aneddoti sentiti dallo) stesso Gimenez quando era un giovane disegnatore emergente nella Barcellona degli anni '60. Gimenez in queste storie disegna se stesso (auto-ribatezzatosi Pablo Garcia Garcia) ed i suoi amici-colleghi (tutti rinominati con nomi di fantasia, anche se nella seconda storia del libro compaiono alcuni nomi veri dei disegnatori disegnati, tra cui Fernando Fernandez, Josè Maria Bea, Eugenio Giner, Esteban Maroto ed altri) sia al lavoro nello studio Creaciones Ilustradas di Filstrup (pseudonimo di Josep Toutain (1932-1997), il padrone -vero- dell'agenzia Seleciones Ilustradas) che durante il tempo libero.

Gimenez, il quale di queste novelle grafiche non è solo disegnatore ma anche sceneggiatore, descrive in maniera romantica e divertente una sarabanda di artisti un po' fannulloni (mitica la didascalia nella seconda storia che recita: "I disegnatori di Creaciones Ilustradas erano un gruppo eterogeneo e variopinto ma abbondavano specialmente quelli che lasciavano trascorrere spensieratamente i giorni e si mettevano la smania di lavorare proprio il giorno prima della data di consegna. E quel giorno erano problemi"), molto spensierati, molto impegnati a farsi a vicenda degli scherzi un po' come i protagonisti del film Amici Miei, ed a barcamenarsi nel cercare di sbarcare il lunario con il magro stipendio che Filstrup gli passa.
Anzi, direi che Gimenez descrive Filstrup come un furbacchione che sottopaga i suoi lavoratori, ma col sorriso sulle labbra, facendoli guasi (dico guasi, eh?) esser felici di esser gabbati.

Alcune storie hanno per protagonista Pablo/Gimenez, altri invece no. Ogni storia è a se stante, non è necessario leggere il libro dall'inizio alla fine per capire l'umanità dei personaggi, della vera "gente di cuore" come recita il titolo di una delle storie.

Ma questa non è e non vuole essere una vera recensione che ce ne sono già a milioni (vabbè, diciamo migliaia...anzi centinaia) in giro sulla carta stampata e su internet, quindi continuo a scrivere e vediamo dove vado a parare.

La prima volta che ho letto le storie dei professionisti fu nel 1983-1984, sulle pagine di Eureka, mitica rivista della defunta Editoriale Corno che chi ha la mia età e leggeva una valanga di fumetti già quella volta (come il sottoscritto, appunto) certamente ricorda. Ogni mese una storia nuova, ogni mese una spasmodica attesa per sapere come sarebbe continuata la saga, di leggere quale disegnatore sarebbe stato la vittima di chissà quale scherzo da parte di chissà quale collega, di conoscere qualche misterioso aneddoto del fumetto spagnolo di venti anni prima... fino a quando uscì l'ultimo numero di Eureka.

Poi il nulla.

E poi ancora il nulla.

E poi sono passati ormai 25 anni e mi tornano in mente i professionisti (anzi: Los Profesionales, secondo il titolo su Eureka) e comincio una ricerca su internet. Non devo cercare molto. Infatti basta leggere un qualche blog come quello del tuttologo del fumetto (o cartonist globale come lui stesso ama definirsi) Luca Boschi ed ecco che scopro l'esistenza del volume che sto recensendo (descrivendo?) adesso.

La mitica Eureka cessò -con mio sommo dispiacere- di esser pubblicata nel 1984 come ho già scritto. In seguito anche l'Editoriale Corno fallì. La conseguenza fu che molte storie in attesa di essere pubblicate, non lo furono affatto. Ecco, anche queste storie ora sono leggibili in questo libro che potremmo definire una raccolta. Tra le storie, i gioielli che non ho potuto leggere da adolescente, ce n'è una che mi ha "intrippato", parecchio, la storia del disegnatore Tony Tano (dato che è un nome di fantasia, mi piacerebbe sapere quale disegnatore ispirò il personaggio, ma Gimenz su queste cose è estremamente parco di informazioni) che oltre a disegnare -"Dei personaggi disegnava solo la bocca e qualche mano. Il resto erano "collage", figure incollate ritagliate da fotocopie di lavori precedenti"- faceva fotoromanzi, commerciava con le cose più insolite e traduceva fumetti americani. In questa storia c'è un dialogo tra lui ed un altro disegnatore (Vidal Flores) che trascrivo perchè oltre a far ridere, mi sembra anche molto verosimile. Almeno spiega certi fumetti che mi capita di leggere e di capirci poco.
Sentite (anzi leggete) che roba:

DIDASCALIA: "Traduceva dall'inglese allo spagnolo fumetti americani che pubblicava la Ibervitis, una casa editrice spagnola"

VIDAL FLORES (VF): "Ma tu lo sai l'inglese?"

TONY TANO (TT): "Neanche una parola!"

VF: "E dunque?"

TT: "Io non faccio traduzioni, io faccio adattamenti, cioè adatto i disegni a quello che scrivo. Io mi lascio guidare dall'intuito. Se nel disegno di vede il capo della polizia che parla con il detective protagonista ed è l'inizio della storia, che credi che possa dire il capo? "Johnny, ho una pericolosa missione da affidarvi". E che risponde Jhonny? "Potete contare su di me, capo, Non temo il pericolo". E più o meno così si arriva alla fine con un classico: "Che morte orriblie! Ma se l'è cercata! Nessuno può prendersi gioco impunemente della legge!"

VF (indicando un fumetto tradotto da Tony Tano): "Sì. Però qui , mentre stanno torturando il protagonista, hai messo che pensa "Mi mancano da pagare solo tre rate e la moto è mia". Questo non c'entra molto."

TT: "Il lettore che è capace di accettare che Superman voli; che l'Uomo Ragno si lanci da un aereo senza paracadute, arrivi a terra, acchiappi i cattivi e che poi bello bello faccia un saltino per tornare sull'aereo; che Batman e Robin vadano in giro per la città vestiti da scemi senza che nessuno li prenda in giro; che l'Uomo Di Gomma si trasformi in corda per catturare i cattivi; ecc... perchè non dovrebbe essere capace di accettare che Jhonny Tormentas, mentre lo torturano, stia pensando alle rate della moto che deve pagare? Questa cosa è addirittura più logica!"

VF: "Non lo so...non lo so...e l'editore che dice?"

TT: "Niente! Tu conosci qualche editore che legga i fumetti che pubblica? E poi l'editore è contento di me. Tieni presente che gli faccio anche l'impaginazione degli albi. Per l'ultimo fumetto dell'Uomo Broccolo ho tirato fuori 46 pagine e l'episodio originale ne aveva solo 15! Sono tutte pagine che risparmia!"

Vabbon, adesso non stò a scrivere tutte le trame, ma garantisco che ogni storia mi ha fatto ridere anche se... anche se avrei preferito la vecchia traduzione di Eureka.
Tutti quei vecchi numeri della rivista che avevo, sono spariti nel corso degli anni (non so se nel bidone della carta -e quindi riciclati- o se nel bidone della spazzatura(1) -e quindi inceneriti nel maledetto inceneritore di Raibano che da anni stà inquinando la costa romagnola, ma questo è un'altro discorso) ma quando ce li avevo giuro che li leggevo così tante volte da aver memorizzato buona parte dei testi. Quindi mmaginate la sorpresa quando ho aperto il volume ed ho trovato dialoghi un po' differenti. Differenti non vuol dire diversi. Anche a me è capitato in passato di tradurre dall'inglese all'italiano (anche dal giapponese all'italiano, come si vede da questo e da questo video) e so che la stessa frase si può rendere in vari modi, basta che il senso non venga stravolto come invece succede ai fumetti tradotti da Tony Tano, certo.

Particolarmente ricordo nella vecchia traduzione la vignetta in cui il disegnatore Jordi, colpito sulla guancia da una riga da disegno piena di cacca, dice una bestemmia, una vera bestemmia, che non sto a scrivere, dico solo che metteva in dubbio la condotta morale della vergine Maria. Beh, il traduttore del presente volume invece ha pensato di censurarla e forse ha fatto bene.

Bon, che altro aggiungere? Il libro è pubblicato dalla Black Velvet (cliccate qua) la quale suggerisce di richiedere il libro nelle fumetterie in quanto dicono che questo li aiuta ad inserirsi nel giro dei comics, io invece l'ho comprato su E-bay che non avevo voglia di andare a Cattolica o a Rimini (colpa mia se non ci sono fumetterie a Riccione o se ci sono ma non le conosco?) a cercarlo che poi magari mi dicevano che non ce l'avevano ma che potevano prenotarlo, naturalmente aspettando non sanno nemmeno loro quanto, dipende dalla casa editrice se ce l'ha ancora nel magazzino e se la distribuzione funziona bene che a volte si sà come vanno le cose e poi non è colpa loro se le strade sono intasate ecc. ecc.

Se ho convinto qualcuno a cercare I Professionisti Volume 1 (2), spero di avervi fornito abbastanza tracce.

Buona lettura e buon divertimento



Alla prossima!


(1) All'epoca non si parlava ancora di raccolta indifferenziata. Vetro, carta, cibo...tutto nell'inceneritore!

(2) il che presume la pubblicazione di un secondo volume ma almeno al momento non ce n'è traccia in giro.